Detto ciò, mai come in queste caso le stelle predilette dai più pigri della manciata de miei lettori vanno prese per quello che sono: un invito, un indice di gradimento. E non una altrettanto soggettiva, ma vieppiù supponente nota al merito. L'avrete capito: il sottoscritto si è divertito quanto voi alla prima versione "lunga" dei lazzi abituali dei tre Aldo, Giovanni e Giacomo di Mai dire Goal. Ma, e direi ovviamente, qui l'attributo siderale non è proprio da intendersi in funzione meramente cinematografica.

Non molto, infatti, se non la (encomiabile) tenuta nei tempi del lungometraggio distingue questo TRE UOMINI dalle arguzie televisive o cabarettistiche che conoscevamo. Una sceneggiatura pulita: che conferisce alla vicenda dei tre commessi milanesi, incaricati di portare ad un futuro suocero terribile nelle Puglie una preziosa gamba di legno appartenuta ad un celebre artista, una sorta di simpatico crescendo drammatico. Dei dialoghi spassosi e sempre puntuali. E degli inserti "cinefilici", che permettono ai tre di rinnovare sotto diverse spoglie le loro trovate comiche: una sequenza in bianco e nero ambientata in un tram d'epoca che riprende i toni cari agli autori del neorealismo. O, ancora, quelli dei film del conte Dracula nelle mitiche foreste della Transilvana; ma con l'intento di prendersi beffa del tragicomico razzismo antimeridionale dei leghisti padani.

Evitando ogni volgarità, non disdegnando di dedicare al ritratto dei personaggi nitide connotazioni psicologiche e un'attenzione quasi affettuosa, TRE UOMINI E UNA GAMBA giustifica il suo successo. E partecipa, a modo suo, a quel rinnovamento (non solo artistico, ma strutturale e commerciale) del cinema italiano che pare sempre meno timidamente confermarsi